L'arte di essere fragili

“L’arte di essere fragili” è l’ultimo testo scritto da Alessandro D’Avenia, giovane scrittore e insegnante di Lettere, che fin dal suo esordio letterario si è rivolto principalmente ad un pubblico giovane, bloccato in quella età di mezzo caotica che è l’adolescenza. Con i suoi libri ha cercato di intessere un dialogo con loro partendo dall’ascolto dei loro principali bisogni inespressi e inappagati, aiutandoli a ritrovare un senso ed una direzione nella loro vita. Questa volta il libro può essere apprezzato anche da un lettore più maturo. Infatti, in queste pagine, D’Avenia pone una serie di interrogativi che riguardano ciascun individuo in ogni fase della maturazione umana, senza avere la pretesa di poter offrire soluzioni semplici, perché come ben ci ricorda, la vita stessa non è semplice e non può essere risolta facendo riferimento ad una formula matematica.

Mediante una serie di scambi e battute con niente meno che Giacomo Leopardi, l’autore condivide e riflette sui mutamenti interiori, i dubbi, le paure e i fallimenti che attanagliano l’uomo in ogni fase di vita.

Ai versi e alle riflessioni seguono anche degli spaccati di realtà. L’autore e insegante fa infatti riferimento a casi di ragazzi autolesionisti, giovani che cercano l’eccesso, che sono infelici e meditano il suicidio, altri che dalla letteratura e da quelle parole prendono consapevolezza, traggono riflessioni, e ne inducono altrettante in chi è destinatario dei loro quesiti.
L’adulto, che sia professore o meno, è chiamato a custodire, a sostenere i più giovani, ad aiutarli con le parole, proprio perché in loro è insita la fragilità. Indurli alla consapevolezza che essenziale è dare compimento a se stessi e alle “cose fragili”, passando attraverso la loro accettazione, perché soltanto amandole possono essere salvate dalla morte. Solo così si può rinascere, soltanto così si può abbracciare “l’arte di essere fragili”, custodirla, farla propria, svilupparla.
D’Avenia riflette anche sul fatto che la vita molto spesso non asseconda le nostre aspirazioni, ma anzi, pone degli ostacoli (nel caso di Leopardi l’impossibilità in un primo momento di allontanarsi dalla famiglia di origine, l’amore negato più volte, la malattia che lo priva del suo unico scopo di leggere e scrivere). Davanti a ciò, l’adulto mette da parte i propri sogni, ma quello che dovrebbe fare è accettare i limiti per realizzare nuovi “rapimenti” che vadano oltre ai limiti stessi o che ne riattribuiscano un senso. La sofferenza psicologica può nascere proprio dal continuare a cercare di raggiungere scopi irraggiungibili e dal rifiuto delle proprie ferite e fragilità. L’autore sottolinea l’importanza della accettazione, che è un concetto ben diverso dal condividere e subire passivamente quanto stiamo vivendo. Accettare significa capire che non c’è possibilità di azione, sentire l’emozione di dolore e di impotenza che ne scaturisce per poi, in un secondo momento, riuscire però a guardare oltre, trovando nuovi significati di vita.

Questa è l’arte di essere fragili propria della età della maturità, l’arte di accettare ciò che non si può cambiare senza esserne sottomessi. L’arte di continuare a fare poesia della e nella sofferenza.
In conclusione, una conversazione con Leopardi, che non delude, che arricchisce e che è in realtà un’automeditazione atta a coinvolgere tanto i giovani quanto gli adulti.

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